UNA UTOPIA POSSIBILE: LA CONTINUITA’

Mario Ferrari – Pavia

 

1- Introduzione

La prima parte del titolo di questo intervento: "Una utopia possibile" si rivela insanabilmente contraddittoria. Il termine "possibile" indica qualcosa che può essere realizzato con un processo più o meno lungo, con maggiore o minore fatica. Il termine "utopia" è la negazione della possibilità. Lo Zingarelli 2000, alla voce "utopia", dopo aver ricordato Tommaso Moro ed il significato etimologico di "non luogo", scrive: "Concezione, idea, progetto, aspirazione e simili vanamente proposti in quanto fantastici e irrealizzabili".

Quanto mi accingo a dirvi, allora, è solo una esercitazione retorica su due termini inconciliabili?. Spero proprio di no.

Della continuità educativa si parla molto da parecchi anni.

I documenti ministeriali ne discorrono da un punto di vista generale. Mi limito a ricordare quanto sta scritto nei programmi.

Gli "Orientamenti dell’attività educativa nelle scuole materne statali" del 1991 dedicano il paragrafo 4 del capitolo "Il bambino e la scuola" alla "Continuità educativa" intesa sia in senso orizzontale (famiglia, associazioni, enti locali,ecc.) sia in senso verticale" (scuola elementare). Queste idee vengono riprese e sviluppate nelle "Indicazioni curricolari" del 2001 che dedicano un paragrafo alla "Continuità" nella parte riservata alla Scuola dell’infanzia.

Chiara è anche la posizione dei programmi della Scuola elementare del 1985. Il secondo paragrafo della I Parte ha il titolo significativo "Scuola elementare e continuità educativa" dove la continuità è intesa sia con la Scuola materna, sia con la Scuola media.

Anche se la parola "Continuità" non compare nei titoli, i programmi della Scuola media del 1979, ne parlano nel paragrafo 3 ( Principi e fini generali della scuola media ) della I Parte, alla lettera d): "Successiva alla scuola primaria, la scuola media si colloca all’interno del processo unitario di sviluppo della formazione, che si consegue attraverso la continuità dinamica dei contenuti e delle metodologie, nell’arco dell’istruzione obbligatoria".

I Programmi Brocca per il Biennio discorrono di "Continuità e orientamento" nel paragrafo 1.5: "Continuità è il termine qui utilizzato per richiamare l’attenzione su alcuni aspetti importanti del passaggio dalla secondaria inferiore a quella superiore, senza con ciò negare che in questo passaggio siano da considerare anche elementi di discontinuità".

Volendo restringere il discorso alla continuità nell’insegnamento della matematica, mi limito a dare qualche indicazione bibliografica.

Anzitutto due articoli pubblicati sulla rivista L’Insegnamento della Matematica e delle Scienze Integrate edita dal Centro Ricerche Didattiche Ugo Morin di Paderno del Grappa:

*F. Speranza, Problemi di raccordo tra le varie fasce scolastiche, ottobre 1990

*V. Villani, Dal concreto della scuola dell’obbligo all’astratto della scuola superiore. Conquista di nuovo sapere o perdita di significato?, settembre-ottobre 1997.

Poi gli Atti del diciottesimo Convegno Nazionale UMI-CIIM sull’Insegnamento della matematica, svoltosi a Campobasso nell’ottobre del 1996 e avente per tema "Dalla scuola media alle superiori:continuità nell’insegnamento della matematica". Questi Atti sono pubblicati come Supplemento al numero di luglio 1997 del NUMI.

Infine, siccome giochiamo in casa, voglio ricordare il Quaderno 13 dell’IRRSAE Lombardia, dal titolo significativo "Per un curricolo continuo di educazione matematica nella scuola dell’obbligo" pubblicato nel lontano 1986 e curato da P. Canetta, C.F. Manara e M. Marchi.

A questo punto la mia conferenza potrebbe anche terminare rivolgendovi semplicemente l’invito a leggere gli scritti che ho citato. Siccome, però, ho ancora del tempo a disposizione continuerò a tormentarvi fino al suo scadere. Le riflessioni che vi propongo hanno un carattere generale e si trovano quasi tutte in un mio articolo pubblicato nel 1996 sulla rivista prima citata.

2- Gli ostacoli

Non ci vuole una grande perspicacia per constatare che la pratica effettiva di una continuità nell’insegnamento, anche negli Istituti Comprensivi, è molto rara.

Gli ostacoli alla realizzazione della continuità sono interni all’ambiente scolastico e, quindi, in linea di principio, superabili. Ne elenco alcuni.

2.1 La diversa preparazione culturale

Per insegnare matematica nella scuola elementare è necessaria la maturità magistrale. Possiamo, quindi, ritenere che la preparazione iniziale dei docenti elementari sia abbastanza omogenea, anche se insufficiente per sviluppare i programmi del 1985.

Questa omogeneità vale solo per la situazione iniziale, perché nel giro di pochi anni intervengono differenziazioni notevoli.

Gli insegnanti che erano in servizio nel 1987 hanno seguito, con maggior o minor frutto, il Piano Pluriennale di Aggiornamento. Quelli entrati in servizio dopo il 1991 hanno avuto, al più, sporadici corsi di aggiornamento a livello di Circolo. Molti insegnanti elementari si sono impegnati in una costante attività di aggiornamento pagando di persona in termini di tempo e di denaro. Penso, per limitarmi ad esperienze personali, ai docenti elementari, più di 100, che da anni partecipano attivamente ai corsi domenicali del Centro Morin; ai vari gruppi di Milano e Mezzago con i quali ci troviamo al sabato mattino; ai corsi che teniamo a Milano ed a Pavia al venerdì pomeriggio.

Tra questi insegnanti e i loro colleghi, che da anni sono fermi al palo, diventa difficile il confronto ed il dialogo professionale ed ogni ragionevole pratica di continuità. Lascio a voi immaginare le difficoltà per pensare e dar vita ad una continuità di contenuti e di metodologie nel passaggio dalle elementari alle medie.

Per insegnare matematica nelle scuole medie bisogna essere laureati. Le lauree che danno questo diritto sono le più disparate: non solo quelle della Facoltà di Scienze, ma anche la laurea in "Scienze agrarie tropicali e subtropicali", la laurea in "Scienze dei materiali",ecc.

Di tutti questi corsi di laurea solo quelli in Matematica e in Fisica hanno uno specifico indirizzo didattico; gli altri corsi sono lontani le mille miglia dal pensare che i loro laureati andranno ad insegnare. La preparazione di base in matematica fornita dai corsi è quanto mai diversa, soprattutto in relazione ai nuovi temi dei programmi del 1979. Ad aggravare la situazione c’è il fatto che per gli insegnanti della scuola media non è mai stato varato un piano pluriennale di aggiornamento ed ormai è pressoché impossibile utilizzare le competenze dei colleghi laureati in matematica o in fisica perché il loro numero, già scarso prima, è ulteriormente diminuito dopo gli ultimi concorsi riservati.

Riuscire a impiantare un ragionevole e ragionato curriculum continuo di matematica per la scuola di base è difficile anche per queste differenze culturali.

Anche per l’insegnamento della matematica nelle scuole medie di secondo grado occorre la laurea. Se alla parola "matematica" si aggiunge l’aggettivo "applicata" il numero delle lauree che costituiscono titolo di ammissione diventa sterminato. Tanto per fare qualche esempio: oltre alla laurea in ingegneria, vi è la laurea in "Scienze economico-marittime", in "Economia marittima e dei trasporti", "Economia politica".

Tutti questi laureati, come quelli delle varie sottospecie di " Economia e commercio" e di "Scienze bancarie", quale concezione possono avere della matematica? Solo quella di una disciplina strumentale. Per essi la matematica è un "far di conto" con le lettere oltre che con i numeri.

E’ chiaro, allora, che è molto difficile costruire un percorso didattico unitario con i laureati in matematica per i quali la matematica è una disciplina culturale e formativa, una disciplina di idee e concetti.

Tutto ciò vale anche senza considerare i grossi "buchi" culturali, soprattutto in relazione ai nuovi programmi, che presentano i non laureati in matematica.

2.2 L’ignoranza reciproca

Do per scontato che ogni insegnante conosca bene ciò che deve fare e tutto ciò che interessa il suo "settore" scolastico. Devo, però, confessare che molte volte i fatti mi hanno smentito. Non sono pochi gli insegnanti che non conoscono a fondo i programmi ( spirito – contenuti – metodologia ) del proprio "settore" scolastico e, quindi, non sanno approfittare della libertà concessa con le connesse responsabilità.

Spesso gli insegnanti leggono e studiano la parte che i programmi riservano ai contenuti, trascurando le parti generali e le indicazioni didattiche.

Quanti insegnanti elementari, per esempio, hanno meditato il paragrafo "La creatività come potenziale educativo" della II Parte, nella quale si sottolinea "la necessità di non ridurre la creatività alle sole attività espressive, ma di coglierne il potere produttivo nell’ambito delle conoscenze in via di elaborazione nei processi di ricerca"?

Quanti insegnanti di scuola media, per esempio, hanno meditato quanto dicono gli "Orientamenti per la "lettura" dei contenuti" a proposito delle proporzioni?

L’ignoranza cui mi riferisco va intesa nel senso etimologico del termine, cioè nel senso di non conoscenza.

Gli insegnanti di un "settore" scolastico ignorano, e spesso non manifestano alcun interesse a conoscere, ciò che avviene nel "settore" scolastico immediatamente precedente o immediatamente seguente.

 

C’è una diffusa ignoranza dei programmi.

Da una indagine condotta dall’IRRSAE Liguria, di cui ha riferito Domingo Paola sugli Atti del Convegno UMI-CIIM prima ricordato, risulta che "il 70% degli insegnanti di scuola media dichiara di non conoscere i programmi sperimentali (PNI o Brocca) delle superiori: proprio quelli pensati in continuità con la scuola media".

A me personalmente è capitato ben raramente, e proprio in incontri dedicati alla continuità, di trovare docenti che avevano letto, non dico studiato, i programmi di matematica degli altri "settori" scolastici. Questo fatto è all’origine di richieste insensate che si fanno agli studenti.

"A volte gli insegnanti che ricevono i nuovi studenti pretendono esplicitamente determinate conoscenze: il guaio è che queste conoscenze spesso non sono comprese nei programmi della scuola di provenienza, ma si tratta di argomenti facenti parte di tradizioni ormai sorpassate. Per esempio, che all’ingresso nella Media si pretendano già i calcoli con le frazioni; all’ingresso in alcune scuole superiori si pretendano i teoremi i geometria (oltre a quello di Pitagora previsto dai programmi), espressioni a più piani, calcolo letterale, monomi, polinomi,…" (Speranza, art. cit.)

Altre volte l’ignoranza dei programmi porta gli insegnanti di un "settore" scolastico a ritenere errore, e a segnarlo come tale, scelte concettuali operate dai programmi del "settore" precedente.

Ho visto insegnanti considerare errata, nel test di ingresso in prima media, la risposta dei bambini che poneva il quadrato tra i rettangoli, come è suggerito esplicitamente dai programmi delle scuole elementari

C’è una ignoranza pressoché totale di ciò che avviene effettivamente nel "settore" scolastico precedente: ignoranza di contenuti e di metodologie.

Questa ignoranza è certamente tra le cause di bruschi e non adeguatamente motivati cambiamenti di metodologia che disorientano gli alunni.

Sia ben chiaro: lungo la carriera scolastica di un alunno la metodologia di insegnamento della matematica deve cambiare perché nel processo evolutivo ci sono insopprimibili elementi di discontinuità rispetto alle esperienze scolastiche precedenti. Come ha scritto Paola "la discontinuità non è eliminabile, nemmeno in teoria: il problema è renderla sopportabile, gestirla in modo sapiente e non traumatico per lo studente".

In altre parole, i cambiamenti devono essere motivati agli alunni in modo da coinvolgerli in un cosciente processo di arricchimento culturale.

Questa ignoranza è certamente fra le cause di diffuse richieste, squalificanti per chi le fa, e umilianti per chi le riceve: Sono le richieste del tipo: "mandateci ragazzi che sappiano fare le 4 operazioni con i numeri naturali (scuola media) o con le frazioni (scuola media superiore). Al resto pensiamo noi.

Con questi atteggiamenti è impensabile qualunque sia pur flebile continuità.

 

    1. La diffidenza reciproca

La diversa preparazione culturale e l’ignoranza reciproca generano sentimenti di diffidenza e di disistima.

A molti bravi insegnanti elementari si stringe il cuore al pensiero che i loro alunni finiranno alla scuola media dove "si spengono completamente e la loro inventiva e creatività viene completamente mortificata". Naturalmente la colpa è dei professori. I quali, sentendosi su un gradino culturalmente più alto per il solo fatto di essere laureati, si lamentano del baratro in cui è sprofondata la scuola elementare perché "i bambini che ci arrivano non sanno neppure le tabelline". Naturalmente la colpa è dei maestri.

Siccome l’opinione pubblica ritiene che la matematica sia ostica, dura, difficile, "roba da cervelloni", i laureati in matematica si ritengono, mediamente, superiori ai laureati in altre discipline. Essi subiscono con tristezza e rammarico che la loro disciplina, nella delicata e difficile fase della preadolescenza, sia insegnata da laureati non specifici. Non si lamentano per l’ignoranza delle tabelline, perché non ne fanno mai la verifica; si lamentano, invece, che all’inizio della prima superiore i ragazzi non sappiano sommare due frazioni con uguale denominatore e che si debbano portare in classe due mezzi litri di latte per far capire che e non a .

Naturalmente la colpa è dei professori di scuola media.

Il lamento, che sembra lo sport nazionale degli insegnanti, non finisce qui perché entrano in scena i professori universitari. Essi si lamentano che le matricole sono prive, o quasi, di qualsiasi capacità di astrazione. Come si fa ad insegnare loro, per esempio, algebra astratta e geometria?

Naturalmente la colpa è dei professori delle scuole superiori, i quali, sia detto per inciso, sono usciti dalle aule universitarie dove pontificano gli attuali "lamentanti".

Sulla disistima, sulla diffidenza, sul lamento non si può fondare neppure un tentativo di continuità.

2.4 La resistenza alle innovazioni

Scriveva Ettore Bortolotti nel 1922: "Non credo che ci sia nulla al mondo più tenacemente conservatore dell’ambiente scolastico: le prime nozioni, apprese quando sul nostro animo la parola ha forza di concetto, divengono dogmi e con forma immutata si tramandano da maestro a scolaro, di generazione in generazione" ( Bortolotti, Definizioni di numero, Periodico di matematica, Serie IV, 2, 1922 ).

Al matematico Bortolotti fa eco, 76 anni dopo, il pedagogista Raffaele Laporta: " Ha molti indubbi aspetti di verità la constatazione fatta tempo fa da un osservatore della scuola, che se un nostro bisavolo potesse rivivere in questi giorni, nel suo disorientamento emotivo e intellettuale a contatto di questo mondo vertiginoso e caotico, l’unica oasi di tranquillità gli apparirebbe un’aula scolastica. Di fatto, se si eccettua qualche suppellettile casualmente pervenuta in essa ( altoparlanti, televisori, rare lavagne luminose, dispersi computer, d’altronde poco o nulla usati ) l’unico trauma potrebbe essergli causato dai nuovi gerghi e costumi giovanili, e- come accade anche a qualche più o meno insigne rappresentante della cultura in questione- dalla soppressione del maestro unico nella elementare: non certo dai costumi didattici, ancora sostanzialmente resistenti ad ogni innovazione" (R. Laporta, Scuola come realtà e come utopia, Nuova Secondaria, 4, 1998-99, pag:7-8)

Ecco qualche esempio di resistenza alle innovazioni.

Alla fine degli anni ’60 incominciò a diffondersi anche in Italia, a livello di scuola elementare, la cosiddetta "matematica moderna" identificata, per lo più, con "l’insiemistica", che prevedeva l’introduzione, nel primo ciclo, della relazione di equipotenza tra insiemi finiti per poter definire il numero naturale e delle operazioni tra insiemi per poter introdurre le operazioni aritmetiche.

Con un po’ di esagerazione Pellerey ha scritto: "All’inizio degli anni ’70 possiamo dire che tutto il mondo dell’insegnamento della matematica scoprì di essere strutturalista, piagetiano e logicista, di appoggiare, cioè, l’intero edificio matematico sui concetti di insieme, di operazioni tra insiemi, di relazione, e di composizione di relazioni." (M. Pellerey, Oltre gli insiemi,Tecnodid, Napoli, 1989 pag.97)

I programmi del 1985 hanno relegato al secondo ciclo l’obiettivo di "usare correttamente il linguaggio degli insiemi nelle operazioni di unione, di intersezione, di complemento" avvertendo che esse non sono necessarie, in via preliminare, " per l’introduzione degli interi naturali e delle operazioni aritmetiche".

Ricordo le facce smarrite di tanti insegnanti, durante i corsi del Piano Pluriennale di Aggiornamento, e la domanda implorante: "Come possiamo introdurre l’addizione senza l’unione?"

Per avere un’idea delle resistenze a questa piccola innovazione (spostare gli insiemi dal primo al secondo ciclo) basta consultare una qualunque delle riviste "omnibus" per insegnanti elementari. Quella che ho davanti agli occhi e che non nomino per non sembrare di parte, nel numero del 1° settembre 1995 contenente "La programmazione della didattica classe per classe, disciplina per disciplina con gli indicatori in primo piano" sbatte nel primo ciclo "insiemi, sottoinsiemi, sottoinsiemi complementari, appartenenza, inclusione, unione, intersezione".

Nella programmazione del secondo ciclo non c’è una parola sugli insiemi.

Gli editori delle riviste conoscono bene i loro lettori!

 

I programmi della scuola media inferiore sono in vigore dal 1979: Il settimo tema "Corrispondenze. Analogie strutturali" è da sempre il protagonista della rubrica "Chi l’ha visto?"

Nel 1989 la CIIM ha dedicato il suo tredicesimo convegno a "I programmi di matematica nella scuola media 10 anni dopo".

Carmelo Mammana sottolineava che con la riforma del 1979 e con i nuovi programmi "la matematica perde quel ruolo di disciplina prettamente operativa, pratica e di supporto per assumere, specialmente con la geometria, quel ruolo di disciplina formativa che prima aveva il latino concorrendo, in modo essenziale, allo sviluppo delle capacità logiche e alla formazione della competenza linguistica, attraverso la ricerca costante di chiarezza, concisione e proprietà di linguaggio". Dopo questa solenne affermazione il nostro autore è costretto a constatare: "Oggi ci accorgiamo (basta esaminare le prove finali di matematica assegnate agli esami di licenza nella generica scuola media) che, in generale, la matematica non ha più il ruolo che i programmi le hanno assegnato ma è ritornata a quel ruolo che aveva prima della emanazione dei programmi del 1979: Ciò è avvalorato anche dal fatto che dei tre temi che i nuovi programmi dedicano alla geometria, normalmente ne vengono sviluppati solo due (la geometria prima rappresentazione del mondo fisico e il metodo delle coordinate), e ciò è evidente perché mentre l’uno permette di sviluppare la geometria nel modo tradizionale come calcolo di lunghezze, aree, volumi e applicazioni del teorema di Pitagora, l’altro è visto come un tema puramente applicativo e di supporto. Il tema delle trasformazioni geometriche, invece, o non è trattato per nulla o non è inteso in quella concezione dinamica che è indicata dai programmi ma viene ad essere visto come la ricerca statica di proprietà delle figure" (C. Mammana, Il ruolo della geometria, in Tredicesimo Convegno sull’insegnamento della matematica: i programmi di matematica nella scuola media 10 anni dopo, NUMI, marzo 1990, supplemento al N.3)

La situazione non sembra migliore nel biennio delle superiori: Una ricerca svolta dal Ministero della Pubblica Istruzione tra gli sperimentatori del Piano Nazionale di Informatica rivela, per esempio, che solo nel 20% delle classi è svolto il tema "Probabilità e Statistica".

E’ chiaro che la costruzione di una significativa continuità, culturale ed educativa, richiede profondi cambiamenti nelle consolidate abitudini degli insegnanti. Se la resistenza è così forte ai cambiamenti di contenuto, è facile immaginare quale sarà ai cambiamenti di atteggiamenti, di metodologia, di tradizione.

3– Le condizioni al contorno per un progetto di continuità

Per poter realizzare una esperienza di continuità è necessario dar vita ad alcune condizioni, ad alcuni prerequisiti senza i quali ogni tentativo è destinato al fallimento. Ne elenco alcuni.

 

3.1 Omogeneità culturale

Anzitutto è necessario realizzare una omogeneità "orizzontale" cioè a livello di singoli "settori" scolastici. In sostanza si tratta di porre in essere un concetto di cui molto si parla e che tutti, a parole, riconoscono fondamentale, cioè, la formazione continua degli insegnanti in servizio.

Questa formazione deve essere

continua, non episodica, non occasionale

obbligatoria, cioè parte essenziale dei doveri professionali dell’insegnante e non lasciata alla buona volontà dei singoli

valutata con strumenti idonei, in modo da evitare il semplice "riscaldamento delle sedie"

gratuita, cioè non deve costare soldi agli insegnanti

riconosciuta sia giuridicamente sia economicamente.

Le strade per attuare questa formazione continua sono diverse, ma non tutte sono ugualmente praticabili ed ugualmente efficaci.

Nuclei di ricerca didattica. E’ la strada più impegnativa, ma anche la più efficace. Elementi caratteristici sono:

la continuità nel tempo

la stabilità del gruppo

la periodicità degli incontri

la stretta collaborazione tra universitari e docenti dei vari livelli scolastici

la ricerca didattica.

Questi Nuclei non sono e non possono essere molto diffusi. In Lombardia, per esempio, per la scuola elementare vi è un Nucleo a Pavia, con quello aggregato di Rozzano, ed uno alla Cattolica di Brescia; per la scuola media inferiore, se non ricordo male, vi è solo il Nucleo di Pavia.

Corsi di aggiornamento tradizionali. Dovrebbero essere tenuti da "disciplinaristi" abituati a lavorare con insegnanti delle scuole e dagli insegnanti stessi.

Corsi di perfezionamento in didattica della matematica organizzati dalle università che li prevedono nel loro statuto. Con una convenzione con la Dirigenza scolastica regionale potrebbero configurarsi come Master in didattica della matematica con un riconoscimento istituzionale.

Partecipazione alle attività delle Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario che sono deputate alla formazione iniziale degli insegnanti.

Anno sabbatico per un ritorno mirato nelle Università.

Partecipazione ai "Progetti collaborativi" su specifici temi, sostenuti finanziariamente dal Ministero. Per ora sono 10 in tutta Italia e coinvolgono, oltre agli universitari, 150 insegnanti dei vari ordini scolastici. Per la Lombardia ne esiste uno a Pavia, ma è auspicabile che vengano moltiplicati.

 

E’ necessario realizzare anche una omogeneità "verticale" che riguarda insegnanti di diversi settori scolastici. Qui dovrebbero essere in prima linea gli Istituti Comprensivi, almeno con i corsi di aggiornamento tradizionali. Per il futuro, ormai alle porte, il problema potrà essere avviato a soluzione con la richiesta, contenuta nella legge 341/90, del possesso della laurea per tutti quelli che vorranno insegnare e con l’auspicio che tutti i futuri insegnanti frequentino le Scuole biennali di specializzazione.

L’omogeneità culturale mi sembra un prerequisito fondamentale perché insegnanti di classi, di scuole e di "settori" scolastici diversi possano avere un linguaggio comune, capirsi quando parlano di matematica, avere di essa e del suo insegnamento una visione accettabile e condivisa. Senza questi elementi non è possibile alcuna forma di continuità.

    1. La conoscenza

Questo prerequisito deve riguardare vari livelli.

Conoscenza della propria disciplina o, almeno, delle parti che devono essere insegnate.

Questo prerequisito più che ovvio è banale e rischia di essere offensivo, ma, forse, non è male richiamarlo ugualmente.

Io non so se gli autori di libri di testo per la scuola media siano gli insegnanti più acculturati; spero proprio di no per l’onore della categoria. E’ pur vero, però, che testi pretenziosi ("seguiremo il metodo assiomatico deduttivo di Euclide"), ma ricchi di errori ("possiamo immaginare la retta come un insieme consecutivo e infinito di punti aventi sempre la stessa direzione") hanno conquistato il 20% delle scuole medie inferiori.

Considerazioni analoghe valgono per i Sussidiari delle scuole elementari e, talvolta, anche per i testi per le superiori.

Conoscenza dei programmi. Anzitutto conoscenza dei programmi del proprio "settore" scolastico, ma anche quelli del successivo (insegnanti della scuola dell’infanzia), del precedente (insegnanti del triennio delle superiori) o di tutti e due (insegnanti di scuola elementare, di scuola media e del biennio). Questa conoscenza evita di fare le richieste insensate o umilianti cui ho accennato nel punto 2.

Conoscenza della realtà. Intendo dire conoscenza di ciò che effettivamente accade nel ciclo scolastico da cui i ragazzi provengono. Non posso fare un test d’ingresso sensato se non conosco ciò che i ragazzi hanno effettivamente studiato. Men che meno posso fare una programmazione didattica basandomi semplicemente sui programmi del ciclo scolastico precedente.

La continuità è un’opera collettiva, che nasce dalla collaborazione di più persone. Quindi nei prerequisiti c’è la conoscenza reciproca tra gli insegnanti, conoscenza delle persone, del metodo di lavoro e dell’attività in classe.

    1. La stima reciproca

Per costruire un percorso di continuità bisogna confrontarsi con gli altri, sapersi mettere in discussione, collaborare. Questo non è possibile se manca la stima reciproca. Questa ci deve essere per assioma, altrimenti non può nascere alcuna collaborazione. Si tratta di una stima delle persone, indipendentemente da questioni ideologiche o politiche; stima del lavoro che svolgono in classe, dell’impegno nel loro lavoro. L’esperienza di collaborazione potrà aumentare o diminuire la stima reciproca, ma essa è fondamentale per poter iniziare il cammino.

4- Continuità: perché?

Da quanto ho detto finora sembra che la continuità, con tutti gli ostacoli che si frappongono, sia solo "utopia" con ben poche possibilità di realizzazione. Ora voglio illustrare le motivazioni che rendono la continuità una "utopia possibile".

    1. La realtà degli alunni

C’è una motivazione di carattere generale che rende la continuità non solo possibile, ma anche doverosa. E’ la realtà degli alunni cui si rivolge la nostra azione educativa.

Sono gli stessi scolari che passano attraverso la scuola dell’infanzia, la scuola elementare, media e superiore. Ora, se la scuola non vuole essere una semplice distributrice di nozioni in pillole, ma una vera agenzia educativa, allora è naturale elaborare un progetto educativo che accompagni tutta la vita scolastica del ragazzo.

Certo un progetto educativo è più ampio della semplice continuità nell’insegnamento della matematica, ma questa si inserisce in quello.

Questa continuità deve essere, anzitutto, valoriale.

Ci sono certi valori che la matematica rimarca fortemente e che devono essere sottolineati nel suo insegnamento a qualunque livello scolastico. Tra essi ricordo:

la libertà: l’unico vincolo che ha il matematico nelle sue costruzioni è la coerenza. Cantor diceva che "l’essenza della matematica è la sua libertà"

la socialità: la matematica è la disciplina delle relazioni. Ogni ente matematico non è altro che una ragnatela di relazioni che lo legano ad altri enti matematici.

Questa continuità deve essere culturale.

Con questo intendo dire che al centro del nostro insegnamento ci devono essere i concetti matematici più importanti, quelli che si presentano come efficaci strumenti di lettura, di descrizione, di comprensione della realtà.

Naturalmente bisogna tener conto del livello scolastico, dei processi di apprendimento, dei bisogni formativi degli alunni. Tutto ciò porta anche alla introduzione dei necessari elementi di discontinuità che devono essere, però, graduati e motivati.

Questa continuità, infine, deve essere metodologica. Ne ho già accennato e riprenderò il discorso tra poco. Anche qui, però, sono necessari elementi di discontinuità.

    1. I programmi di matematica

C’è una motivazione particolare che fornisce un efficace aiuto alla costruzione di un cammino continuo nell’insegnamento della matematica. Sono i programmi, dalla scuola dell’infanzia alle superiori, nei quali la continuità è scritta a chiare lettere.

Già la si vede nella struttura esterna dei programmi organizzati, dalle elementari in popi, in una premessa, nella articolazione per temi e nelle indicazioni didattiche.

Questa continuità risulta ancora più evidente se si "guarda un po’ dentro" ai programmi.

Essi hanno una evidente concezione unitaria della matematica.

 

4.2.1- Come disciplina culturale

Voglio incominciare dagli "Orientamenti dell’attività educative nelle scuole materne statali" i quali, a proposito del "campo di esperienza educativa: lo spazio, l’ordine, la misura" recitano: "Questo campo di esperienza si rivolge in modo specifico alle capacità di raggruppamento, ordinamento, quantificazione e misurazione di fatti e fenomeni della realtà, ed alle abilità necessarie per interpretarla e per intervenire consapevolmente su di essa".

Si tratta di espressioni prese quasi alla lettera dai programmi della scuola elementare i quali, nel paragrafo "Matematica e formazione del pensiero" scrivono: "Essa tende a sviluppare, in modo specifico, concetti, metodi e atteggiamenti utili a produrre le capacità di ordinare, quantificare e misurare fatti e fenomeni della realtà e a formare le abilità necessarie per interpretarla criticamente e per intervenire consapevolmente su di essa".

A queste espressioni fanno eco quelle dei programmi Brocca per il biennio. Non è il caso di fare lunghe citazioni e rimando il lettore ai "Riferimenti generali" dai quali ho tratto il seguente capoverso: "Coerentemente con questo processo l’insegnamento della matematica si è sempre orientato, e continua ad orientarsi, in due distinte direzioni: da una parte "leggere il libro della Natura" e matematizzare la realtà esterna; dall’altra simboleggiare e formalizzare i propri strumenti di lettura attraverso la costruzione di modelli interpretativi: Queste due direzioni confluiscono, intrecciandosi ed integrandosi con reciproco vantaggio, in un unico risultato: la formazione e la crescita dell’intelligenza dei giovani".

Quelle riportate sono affermazioni di carattere generale. Gli insegnanti, nella concretezza dei loro incontri, dovranno stabilire una gerarchia tra le "verità" matematiche da insegnare nei vari ordini scolastici e scegliere gli strumenti concettuali più adatti ed efficaci per "leggere il libro della Natura". Per questo prima ho parlato della omogeneità culturale come prerequisito.

 

      1. Come disciplina formativa

Incomincio ancora dagli Orientamenti per la scuola materna: "E’ anche opportuno sviluppare la capacità di porre in relazione come: formulare previsioni e prime ipotesi […]. A ciò si aggiunge l’opportunità di sviluppare, di progettare e inventare come: la creazione di progetti e forme, derivati dalla realtà o del tutto nuovi, di oggetti e spazi dell’ambiente; l’ideazione di storie; la realizzazione di giochi con regole più o meno formalizzate e condivise; le rappresentazioni spontanee o ricavate da quelle in uso e così via".

Mi pare che anche qui ci sia lo "zampino" dei programmi delle elementari: "L’educazione matematica contribuisce alla formazione del pensiero nei suoi vari aspetti: di intuizione, di immaginazione, di progettazione, di ipotesi e deduzione, di controllo e quindi di verifica o smentita".

Sulla stessa lunghezza d’onda sono i programmi delle scuole medie: Tra gli obiettivi della cattedra di "Scienze matematiche, chimiche, fisiche e naturali" vi è quello di "considerare criticamente affermazioni ed informazioni, per arrivare a convinzioni fondate e a decisioni consapevoli", mentre tra quelli specifici della matematica vi è di "condurre gradualmente a verificare la validità delle intuizioni e delle congetture con ragionamenti via via più organizzati".

Le finalità della disciplina "Matematica e Informatica" dei programmi Brocca per il biennio sono eminentemente di tipo formativo. Tra esse ci sono anche quelle riguardanti "lo sviluppo di capacità intuitive" e "le capacità di utilizzare procedimenti euristici".

Mi limito a riportare un capoverso dei "Riferimenti generali": "Le finalità indicate sopra sono comuni a tutti gli indirizzi di studi perché concorrono, in armonia con l’insegnamento delle altre discipline, alla promozione culturale ed alla formazione umana di tutti i giovani, anche di coloro che non intendono intraprendere studi scientifici e di quelli che decidono di orientarsi più direttamente verso il mondo del lavoro".

Il fatto che la matematica sia pensata come una disciplina formativa richiede che, in un percorso didattico costruito sulla continuità, gli alunni, studiando matematica, possano sviluppare anche fantasia, intuizione, immaginazione, progettualità.

Per questo i programmi delle medie fanno una affermazione che quasi sempre viene disattesa ad ogni livello scolastico: "Va sconsigliata l’insistenza su aspetti puramente meccanici e mnemonici e quindi di scarso valore formativo".

4.2.3- L’andamento a spirale

I programmi sono un aiuto alla continuità anche per la strutturazione interna dei loro contenuti. Essi procedono a spirale con la scansione: proposta-ripresa-approfondimento-ampliamento.

Naturalmente nei contenuti c’è sempre la dialettica continuità-discontinuità che va giustificata e motivata agli alunni. La "spiralità" dei programmi rende possibile, per gli insegnanti dei vari "settori" scolastici, interventi significativi nella costruzione di un percorso didattico fondato sulla continuità.

4.2.4- La metodologia

Ho già detto che i cambiamenti bruschi ed immotivati di metodologia sono causa di disorientamento e di crisi negli alunni. Ebbene i programmi danno un aiuto anche nell’eliminare queste cause.

I programmi hanno fatto due scelte metodologiche fondamentali.

 

4.2.4.1 La scelta della comprensione

E’ molto diffusa l’abitudine di rinunciare a capire le "cose matematiche", e di impararle a memoria in vista dell’interrogazione.

Certo è molto più facile imparare a memoria che capire, è più facile addestrare che inventare un percorso didattico che porti alla consapevolezza, è più facile risolvere 50 esercizi ripetitivi che cimentarsi con un problema intelligente. E molte volte nella prassi scolastica si fa la scelta del più facile.

I programmi mirano esplicitamente alla comprensione, alla consapevolezza, alla conquista significativa delle "cose matematiche".

Possiamo incominciare con gli Orientamenti per la scuola materna i quali si propongono di sviluppare la capacità di "operare riflessioni e spiegazioni su numeri, sistemi di riferimento, modalità di rappresentazione e così via".

Nei programmi delle scuole elementari ricorre spesso il verbo "comprendere" (in aritmetica) e l’espressione "avere consapevolezza" (in geometria).

Qui mi limito a riportare un periodo delle Indicazioni didattiche: "L’acquisizione significativa delle tecniche ordinarie di calcolo delle quattro operazioni scritte andrà opportunamente consolidata mettendo gli alunni in grado di saper ottenere, nei casi possibili, uno stesso risultato numerico elaborando, di volta in volta, schemi di calcolo (algoritmi) differenti, sia mediante scomposizione diverse dei numeri, sia con l’uso pertinente delle proprietà delle operazioni".

Dei programmi della scuola media basterà citare un obiettivo della matematica: "Avviare alla consapevolezza ed alla padronanza del calcolo".

Questo è anche uno degli obiettivi di apprendimento dei programmi Brocca per il biennio: "Utilizzare consapevolmente le tecniche e le procedure di calcolo studiate".

Possiamo anche aggiungere: "Comprendere e interpretare le strutture di semplici formalismi matematici".

Questa scelta dei programmi scarta ogni ipotesi di didattica breve nell’insegnamento della matematica. Una didattica breve può, forse, erudire il pupo o ammaestrare il pappagallo, non certo aiutare gli alunni a comprendere le cose.

 

        1. La scelta dell’insegnamento per problemi

Si tratta di una scelta affascinante, ma difficile ed impegnativa per alunni ed insegnanti. Forse è una scelta irreversibile, che bisogna cercare di attuare dai primi anni di scuola dandone una interpretazione omogenea.

Questa scelta è già presente negli Orientamenti per la scuola materna, secondo i quali "le abilità matematiche riguardano in primo luogo la soluzione di problemi mediante l’acquisizione di strumenti che possono diventare a loro volta oggetto di riflessione e di analisi".

Per la scuola elementare basterà ricorda che il primo tema è dedicato a "I problemi", ripreso nelle indicazioni curricolari per i nuovi cicli col titolo "Risolvere e porsi problemi".

Tra gli obiettivi della cattedra della scuola media c’è quello di "porsi problemi e prospettarne soluzioni".

Le affermazioni, forse più significative, certo meno aspettate, si trovano nelle Indicazioni didattiche dei programmi Brocca del biennio.

"Non ci si può illudere di poter partire dalla disciplina già confezionata, cioè da teorie e da concetti già elaborati e scritti, senza prendersi cura dei processi costruttivi che li riguardano. E’ invece importante partire da situazioni didattiche che favoriscono l’insorgere di problemi ma tematizzabili, la pratica di procedimenti euristici per risolverli, la genesi dei concetti e delle teorie, l’approccio a sistemi assiomatici e formali. Le fonti naturali di queste situazioni sono il mondo reale, la matematica stessa e tutte le altre scienze. Ciò lascia intravedere possibili momenti di pratica interdisciplinare, prima nella scoperta e nella caratterizzazione delle diverse discipline in base al loro oggetto e al loro metodo, poi nel loro uso convergente nel momento conoscitivo".

"Il problema didattico centrale che si pone al docente nell’attuazione dei programmi risiede nella scelta di situazioni particolarmente idonee a far insorgere in modo naturale congetture, ipotesi, problemi".

"La scelta delle situazioni e dei problemi rientra in un quadro più vasto di progettazione didattica che si realizza attraverso la valutazione delle disponibilità psicologiche e dei livelli di partenza dei singoli studenti, l’analisi e la determinazione degli obiettivi di apprendimento, l’analisi e la selezione dei contenuti, l’individuazione di metodologie e tecniche opportune, l’adozione di adeguate modalità di verifica. Questa progettazione sostiene il lavoro didattico, favorisce la collocazione dei contenuti nel quadro del sapere scientifico, permette di individuare con più chiarezza la loro importanza e la difficoltà del loro apprendimento".

In queste ultime espressioni mi sembra siano delineati i principi fondamentali cui ispirarsi per una progettazione fondata sulla continuità.

 

5- Conclusione

 

A questo punto non so se l’uditore propende per "l’utopia" oppure se è più disponibile verso il "possibile". Personalmente, conoscendo ciò di cui sono capaci gli insegnanti (non tutti purtroppo) sono più favorevole al "possibile".

Forse anche la mia è una utopia, ma l’utopia è il motore della realtà.